La prima volta che ebbi un attacco di panico credetti che non ne sarei sopravvissuta. All'improvviso, senza nessun pericolo, in una situazione di calma successiva a un grosso stress, sentì una fitta al torace. La mia mente corse a pensare che si stesse manifestando un attacco di cuore e che non sarei sopravvissuta. Tachicardia, respiro affannoso, giramenti di testa, groppo alla gola, senso di svenimento i sintomi fisici a cui so che se ne possono aggiungere molti altri. I pensieri erano orribili, pensavo che sarei morta, durante quel primo attacco e, in ogni caso, non avevo la minima idea di quel che mi stava capitando. Non lo sapevo spiegare e, una volta passata la fase del terrore acuto, mi rimase la convinzione di stare impazzendo. Perché non sapevo né cosa avevo né come raccontarlo a chi mi stava attorno.
Dopo il primo episodio ne sono seguiti infiniti, quasi ogni giorno avevo terrore e, quando non era panico, era la paura che si ripresentasse tutta la risma dei sintomi (ansia anticipatoria). Cominciai a evitare determinati luoghi, specialmente quelli affollati o che non presentavano facili vie di fuga perché ero dominata dal pensiero che, se fossi stata male non mi sarei riuscita a salvare in un luogo lontano da chi mi voleva bene o che non permetteva di raggiungere facilmente un ospedale. In breve sono arrivata a non uscire più di casa poi, piano piano, ho incominciato a muovermi nelle vicinanze ma sempre accompagnata da una persona di fiducia. Era un incubo, ero all'inferno. Inoltre non sapendo dare un nome a quello che mi stava succedendo, pensai di essere pazza e subentrò un profondo senso di vergogna e di fallimento. Nel corso degli anni questo senso di diversità, di anormalità si sarebbe trasformata in una depressione abbastanza tenace.
Per un anno ho convissuto con attacchi di panico quotidiani che limitavano profondamente la mia vita senza riuscire a dare un nome a quello che stava succedendo. Esami medici, corse all'ospedale in preda all'affanno e alla tachicardia, ipocondria, paura di stare sola, tranquillanti presi a caso e sporadicamente, paura, vergogna, idee continuative che andavano dalla morte alla follia passando, brevemente, per periodi in cui avevo paura di far del male agli altri. Non avevo più controllo né su di me né sulla mia vita e, nel corso di quell'anno, mi ridussi a essere dominata dal terrore. Perché il panico ti porta via la vita.
Poi la mia famiglia mi convinse a rivolgermi a una terapeuta che finalmente diede un nome a quell'incomprensibile, devastante quantitativo di sintomi fisici e psicologici: attacchi di panico.
Da allora sono passati quasi 20 anni. Ho fatto terapia, ho studiato e continuo a farlo, ho smesso di vergognarmi, ho lottato ogni giorno perché di una cosa sono sempre stata certa, che fra quella cosa orribile che mi capitava ed io, avrei vinto io.
Gli attacchi di panico hanno una caratteristica, sono recidivi per cui, dopo lunghi periodi di benessere, può capitare che si ripresentino e, ogni volta, è un precipitare nuovamente nel buio ma, l'importante, quello che devono sapere tutti è che da tutto questo si può uscire e la vita può ritrovare le sue caratteristiche positive.
Lotto ancora contro le paure che si sono cristallizzate, contro certi luoghi che sono diventati sterrati, luoghi dell'anima. Contro il senso di colpa, l'inadeguatezza, fatico ancora ad accettarmi e a non invidiare le "persone normali" - sempre che esistano - ma so che cos'ho e so come affrontarlo, so che ogni giorno è un'avventura che vale la pena percorrere fino in fondo e so che è una violenza brutale che facciamo verso noi stessi quella di vergognarci o sentirci inferiori a chi non conosce gli attacchi di panico. Non li maledico più. Hanno formato la mia personalità che, nel bene o nel male, è unica e ha un senso della vita profondo: conosce, ama follemente la bellezza, le piccole cose, un attimo di sole perché ha conosciuto l'abisso.
Non avrei riconosciuto la bellezza se non avessi conosciuto l'orrore.
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